Tutti i vari biografi concordano sul fatto che Marino era nativo di Arbe, luogo della Dalmazia. Così come è certo che fosse uno scalpellino. Infatti Arbe abbondava di ottimi marmi e probabilmente l’arte di tagliapietre doveva essere praticata ampiamente. D'altronde Marino e Leo approdarono alla Città di Rimini per prestare la loro opera alla ricostruzione e ai restauri di quella città.
Quando ciò avvenne è meno certo.
Alcuni fisserebbero la venuta di Marino negli ultimi anni del secolo III, all'epoca dell'editto di Diocleziano e Massimiano. Questa ipotesi verrebbe avvallata dall'esistenza di un «pozzo» nel chiostro del Convento di San Marino in Rimini, divenuta poi nel tempo Parrocchia San Bartolomeo e Marino, infatti dall'iscrizione appostavi risulterebbe che il «pozzo» sarebbe stato scavato da Marino nell'anno 300.
Altri, ed è la tradizione diffusa, sostengono che Marino e Leo sarebbero fuggiti da Arbe per sottrarsi alla persecuzione di Diocleziano, ma noi sappiamo che l’editto di persecuzione è del Febbraio 303. Quindi bisognerebbe pensare che Marino fosse scappato qualche anno prima.
Altri ancora sostengono che Marino sia giunto a Rimini nel 359 e vengono intrecciate notizie e calcoli che coinvolgono atti, studi, Papi e Vescovi imperanti, senza però giungere ad una certezza storico-scientifica.
Solitamente, quando si brancola nell'indefinito si è costretti a procedere per ipotesi, che però tali restano, e si accetta, magari a denti stretti, quella che meglio si concilia con la cronologia e la logica.
Scappando da Rimini, Leo e Marino percorsero il greto del fiume Marecchia fino alla confluenza del torrente San Marino. Qui, i due fuggiaschi, divisero le loro strade. Leo proseguì e si ritirò sul Feretrio; Marino continuò sul Fosso del Re e della Fornace, trovando prima rifugio in una grotta della Baldasserona, posseduta, assieme alle terre circostanti, dalla Matrona riminese Felicita o Felicissima. E quì deve essere avvenuto il miracolo della salvezza di Vero, figlio della Matrona, la quale si convertì assieme a tutti i suoi famigliari. E sempre qui deve essere avvenuta la contestata donazione del Monte Titano.
Marino, comunque, quando abbandona Rimini, sale sul Monte Titano per trascorrere il tempo che gli rimane da vivere, senza muoversi più, rendendo l’anima a Dio «verso la fine del IV secolo».
Continua...
A cura di Acì